POMPE DI CALORE: COME SFRUTTARLE AL MEGLIO

 

La pompa di calore è un “sistema” che sfrutta le caratteristiche di un ciclo termodinamico (ciclo di Carnot) per trasferire il calore da una“sorgente” a temperatura inferiore a un utilizzatore a temperatura superiore, realizzando quindi una trasformazione in senso inverso a quanto avviene in natura, ove il fl usso termico passa solo dalla temperatura superiore a quella inferiore. Il ciclo di Carnot è da molto tempo usato come ciclo “frigorifero”, più noto che il ciclo inverso “a pompa di calore”; è realizzato con compressori, scambiatori di calore e tubazioni; fa evolvere un fluido che compie una serie di trasformazioni di stato (principalmente evaporazioni e condensazioni) che consentono di prelevare calore da un ambiente “freddo” e trasferirlo a un altro “caldo”. Qualsiasi fluido è potenzialmente in grado di percorrere il ciclo, anche se alcuni presentano caratteristiche particolarmente interessanti che li rendono ideali per l’utilizzo in macchine per la produzione di acqua calda e refrigerata.

 

IL FUNZIONAMENTO

Se si utilizza la bassa temperatura (avendo l’alta temperatura come scarto), si ha una “macchina frigorifera”; se, invece, si usa il caldo e si scarta il freddo, si ha una “pompa di calore”. In molte realizzazioni il ciclo termodinamico può essere invertito: la stessa macchina può essere utilizzata per la produzione di acqua calda oppure acqua fredda. I sistemi a pompa di calore hanno una sorta di naturale vocazione per la climatizzazione degli ambienti: d’inverno, portano il calore dall’esterno all’interno (direttamente, come nel caso degli impianti a espansione diretta, oppure indirettamente, come nel caso di impianti a fan coil oppure a tutt’aria). D’estate, con ciclo contrario, portano il calore dall’interno all’esterno. In buona sostanza, si compra una macchina sola e la si sfrutta in due stagioni.

 

IL COEFFICIENTE DI RESA

Perché la pompa di calore funzioni, occorre energia elettrica, che è l’ingresso di energia nel sistema. L’efficienza della macchina è data dal rapporto fra l’energia termica prodotta e l’energia elettrica immessa.

Le pompe di calore sono impianti ad alta efficienza, in quanto, se opportunamente installate, rendono molto, ma anche perché con un solo impianto è possibile raffrescare o riscaldare in tutte le stagioni.

Questo rapporto di resa (COP: Coeffi cient of Perfomance) è tipicamente superiore a 3, e raggiunge in alcuni casi valori superiori a 6 e più, in funzione delle temperature di condensazione ed evaporazione (cioè, per i gruppi più tipici aria-acqua, rispettivamente la temperatura dell’acqua calda prodotta e la temperatura dell’aria esterna). Il COP cresce (quindi la resa aumenta) al crescere della temperatura di evaporazione e al diminuire della temperatura di condensazione. Quindi, in sostanza, la resa cresce se:

• l’acqua calda prodotta viene utilizzata per utenze a bassa temperatura anziché ad alta (per esempio, pannelli radianti a pavimento invece che radiatori);

• la temperatura esterna è “alta”.

 

L’IMPIANTO IN TUTTE LE STAGIONI

La pompa di calore presenta quindi vantaggi energetici e funzionali, associati all’indubbio beneficio che può essere sfruttata in inverno come pompa di calore e in estate per il condizionamento, ma per i climi del nord Italia può non essere la soluzione ideale.

Le cose cambiano in maniera sensibile quando si ha a disposizione una sorgente di calore a temperatura costante come quella garantita dall’acqua di falda. In questo caso, non si utilizzano pompe di calore aria-acqua, ma pompe acqua-acqua. Dal punto di vista concettuale, le macchine sono identiche. L’implementazione, invece, è profondamente diversa: l’evaporazione invernale (oppure la condensazione estiva) non avviene attraverso scambio con l’aria, ma con l’acqua. L’acqua di falda ha temperature stabili, durante l’anno, attorno a 10÷15 °C. Non ci sono, di conseguenza, i problemi di basse temperature.

Questo porta a rese decisamente buone ed elimina i problemi della brina invernale. Inoltre, lo scambio di calore con acqua è drammaticamente più efficiente di quello con l’acqua e quindi si ottengono macchine con COP ben maggiori. Mantenendo l’esempio dell’acqua di riscaldamento a +40 °C, con acqua di pozzo a +15 °C, il COP raggiunge 4,7 (per ogni kW introdotto elettricamente si ottengono 4,7 kW termici a +40 °C). Oltre a questi indubbi vantaggi, c’è inoltre da considerare che, proprio grazie all’efficienza dello scambio termico legato all’acqua anziché all’aria, le dimensioni delle pompe di calore (e frigoriferi) sono nettamente più ridotte rispetto ai gruppi aria-acqua. Considerazioni del tutto simili possono essere fatte per le pompe di calore geotermiche con scambio umido, oppure secco, con il terreno. Entrambi gli approcci condividono la filosofia di base di riuscire a scambiare calore con sorgenti a temperature relativamente elevate. Come sempre, purtroppo, esistono limitazioni, talora anche pesanti. Nel caso del geotermico “puro”, lo scambio con la terra richiede la formazione di pozzi lunghi (e costosi): con un pozzo di circa 100 m di profondità si scambiano da 3 a 7 kW (il che è circa pari alla potenza necessaria per un appartamento non grande). I pozzi, poi, devono essere abbastanza distanti fra loro da non influenzarsi a vicenda e provocare eccessivo raffreddamento del terreno. Esistono, per la verità, anche soluzioni in orizzontale, che richiedono però grandi superfici e costi elevati. Nel caso dell’acqua di falda, la prima – ovvia – osservazione è che quest’acqua deve essere disponibile. Non sempre questo accade, per vari motivi: per esempio, la falda è di dimensioni ridotte non sufficienti per i fabbisogni, oppure è soggetta a stagionalità, oppure, ancora, l’acqua è disponibile a profondità così elevata da non essere conveniente.  Anche qui occorre scavare un pozzo, naturalmente, ma di dimensioni ridotte, con diametro nell’ordine delle centinaia di millimetri. Si pone poi il problema dell’acqua in uscita (raffreddata) dalla pompa di calore: se viene ributtata nello stesso pozzo di presa, sostanzialmente ricircola e si raffredda fi no a ghiacciare. Occorre quindi scavare un altro pozzo alla maggiore distanza possibile dal primo. Comunque, questo non sempre basta; l’ideale è prelevare l’acqua da un pozzo e scaricarla in un corpo idrico di superficie (lago, fiume, roggia). Inoltre, si deve considerare che sussistono non banali limitazioni di natura regolamentare, fra cui l’espletamento di lunghe e farraginose procedure burocratiche di autorizzazione.

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